Recensione pietra miliare: Spacemen 3 – Playing with fire

di Roberto Giannini, pubblicato il 24 Marzo 2014

Spacemen 3 – Playing with fire – 1989 – (Fire)

by Giulio Olivieri

Capita a volte di rileggere il loro nome in qualche recensione (i Fuck Bottom, giusto recentemente), ma nessuna band è mai riuscita ad eguagliarne stile e portata storica: gli Spacemen 3 di Peter “Sonic Boom” Kember e Jason Pierce sono stati una delle più grandi band psichedeliche di sempre, capaci di andare oltre il semplice revivalismo per arrivare a uno stile nuovo che è stato soprattutto solo loro (forse solo i contemporanei Loop potevano essere degli epigoni efficaci, non fosse che in fondo anche loro erano assolutamente personali e più affascinati dalla Germania dei ’70 che non dai ’60) e che forse proprio per questo ha affascinato molti gruppi senza generare dei veri eredi.

Il disco – pur senza avere quella spaccatura netta che sarà  del successivo Recurring, poichè qui c’è ancora una certa omogeneità di suoni – si può tranquillamente dividere in due gruppi di canzoni: da un lato quelle di Pierce, più vicine alla forma canzone e matrici dei classici futuri dei suoi Spiritualized, dall’altro le strutture più ardite delle composizioni di Kember, che sembra già  lanciato verso quel concetto di post rock che esploderà  solo pochi anni dopo.

La prima parte del disco è giocata su sonorità  ipnotiche, quasi impalpabili, tanto che fino a Revolution (quasi) non si sente una vera sezione ritmica: le canzoni sembrano galleggiare nell’aria e sembra quasi che Honey, Come Down Softly To My Soul, How Does It Feel? e I Believe It (che cita il celebre inizio della Gloria di Patti Smith) siano parte di un unico flusso sonoro.

In Honey e Come Down Softly To My Soul anche le voci finiscono per apparire eteree come gli arpeggi di chitarra, in un’atomosfera ipnagogica che sarà replicata con successo solo dai My Bloody Valentine più eterei.

Il parlato di How Does It Feel? sembra suggerire al nostro inconscio di rilassarsi, anticipando un brano che viene giocato fondamentalmente su un unico riverbero su cui vengono ricamati dei passaggi di chitarra: la band porterà  il brano all’estremo nel 12″ Dreamweapon, dove in due facciate questa struttura sonora viene portata all’estremo, raggiungendo risultati più vicini al minimalismo che non alla musica rock (e difatti sul retro è riportato un testo di LaMonte Young).

I Believe it si apre con lo stesso riff di tastiera della loro Walkin’ With Jesus“(o forse della Rocket U.S.A. dei Suicide) e col suo incidere incalzante -nonostante l’unica ritmica sembri essere un tamburello molto sullo sfondo – fa da perfetta introduzione a Revolution.

Quest’ultima, uno dei vertici del disco, è un mostruoso tributo ai colossi di Detroit Stooges e MC5, visto che si apre col medesimo della Loose dei primi e sembra muoversi sugli accordi della Black To Comm dei secondi: qui la band sembra quasi fare a gara con la nascente generazione shoegaze, puntando su un muro del suono implacabile. Da notare che il brano sarà subito oggetto di una cover dei grungers Mudhoney (in parte omaggio sentito, in parte caricatura del suo testo pro-droghe cantato con un accento british pesantissimo: il cantato di Mark Arm sembra puntare verso questa direzione, anche se le note accluse all’antologia March To Fuzz la definiscono “a great song“) , e se in un primo momento gli Spacemen 3 ne saranno irritati finiranno poi per rispondere con una cover quasi perfetta della When Tomorrow Hits del quartetto di Seattle (le due cover divideranno un 7″ del celeberrimo “single club” della Sub Pop).

Let Me Down Gently ritorna nel limbo etereo della prima metà del disco (riprendendo sul finale la tastiera di Honey) laddove So Hot (Wash Away All Of My Tears) è una tipica ballata nello stile di Pierce, giocata su un piano ripetitivo che sembra arrivare dritto da Eric Satie.

A queste due oasi sonore segue la martellante Suicide, distorto omaggio all’omonimo duo newyorkese, che per undici minuti travolge l’ascoltatore con feedback continui, finendo per anticipare le ossessioni di certo underground americano, dagli Oneida ai Black Mountains passando per i Comets On Fire.

A quel punto le sonorità quasi tra country psichedelico e gospel (una tecnica che Pierce utilizzerà  spesso negli Spiritualized, specie tra i solchi di Ladies And Gentlemen We’re Floatin In Space e Amazing Grace) di Lord Can You Hear Me? sarebbero una conclusione perfetta non ci fossero -almeno nella mia stampa, che è la prima in cd su Fire: un’ altra ve ne sarà  per Space Age Recordings che raddioppierà  il formato con demo e una cover di Chè dei Suicide – due potenti bonus track dal vivo, e se la prima è una Suicide ancora più efferata dell’originale, la seconda è una reprise di “How Does It Feel?” intitolata Repeater che pur non raggiungendo le vette del già  citato e.p. “Dreamweapon” è abrasiva e lisergica quel tanto che basta da chiudere in bellezza il cd.

Apparentemente questo è un disco troppo “di culto” per poter essere definito una “pietra miliare”, ma la sua influenza sotterranea continua a farsi sentire ancor oggi senza che -per fortuna- sia divenuto di moda citarli a ogni occasione: cosa chiedere di più?

Track list

  1. Honey (Kember) 3:01
  2. Come Down Softly to My Soul (Pierce) 3:46
  3. How Does It Feel? (Kember) 7:58
  4. I Believe It (Kember) 3:19
  5. Revolution (Kember) 5:57
  6. Let Me Down Gently (Kember) 4:29
  7. Suicide (Pierce) 11:03
  8. Lord Can You Hear Me? (Pierce) 4:34