Una prima serata da Woow: stasera di nuovo!

di Roberto Giannini, pubblicato il 18 Giugno 2016

by Martino Serra (photos by Maurizio Tovani)

Anche quest’anno abbiamo sfondato la porta ed abbiamo ufficialmente aperto la prima serata del XIV Festival delle Periferie. Nonostante il tempo minacciasse di ungerci d’acqua, abbiamo fermamente creduto nella riuscita e a parte un fresco venticello autunnale, che a dire il vero a me non è per nulla dispiaciuto tra il verde di Villa Bombrini, abbiamo aperto davvero alla grande.

Certo, i franchi tiratori deridevano il titolo della serata Desert Friday come un presagio di solitudine, ma ahimè, hanno dovuto tirarsi le pive nel sacco perché è stata davvero un’apertura d’eccellenza e più gente si vedeva dentro e più ne continuava ad entrare. Certo, inizialmente più affamati e vogliosi di birre si ammassavano al bar mentre i Puerto Plata Market, una freschissima band pegliese inaugurava il palco mischiando funky and blues a nuove battute di batteria, rendendo un atmosfera estiva, pensate che per un attimo, con quel sole che pompava, le nuvole bianche, le soavità sonore dei Puerto e la felicità della gente mi è sembrato di essere ad un raduno di idealisti a Copacabana.

L’entrata del cantautore genovese Mauro Cipri è stata immediata, lui che con la sua poesia nel muoversi giocava da vero professionista con un pedale tecnologico a rispedire suoni ripetuti, registrati in tempo reale, musicava poesie, come ci comunicasse di qualcosa di davvero profondo in uno stile da vero poeta ed una marcata capacità cantautorale. Il pubblico adorava ascoltarlo seduto, come sprofondato nelle sue parole, non si rendeva conto che nel frattempo era entrata in Villa ancora più gente e tutta quella gente gli stava finendo i pansotti, le trofie al pesto, le friselle di Luca e Valentina, prestati a Metrodora dalla Festa del Sole e tanto adorati in quella cucina, quest’anno così magica e ricca di sapori.

Fu così il turno dei Belzer, band che ha fatto da tiro e che ha trascinato una buona fetta di pubblico e dove non ho mancato di provare a presentare in modo degno, provando a stare all’altezza delle loro filosofie concettuali antiprogressiste, dedite alla ricerca dell’uomo come essenza e non come succube del progresso, ma nell’incastrare qualche discorso di presentazione devo essermi perso e ricordo di aver arrangiato qualche frase sconnessa e priva di concetti verbali, così preso un po’ dalla vergogna ho cercato di defilarmi dal palco il prima possibile, non sapendo che un componente dei Belzer aveva lasciato l’auto parcheggiata alla “sper’in dio” e, chiamato dall’inflessibile guardiano, è dovuto scendere dal palco poco prima di iniziare a suonare, è andato a parcheggiare, come quando si fa la spesa ed è tornato ruggente sul palco, lasciando così una buon quarto d’ora il pubblico gestirsi le consumazioni di birre. Beh, io proprio dopo la mera figura di qualche minuto prima non me la sentivo proprio di andare a coprire quel silenzio e facendo il finto tonto me la sono fischiettata da un’altra parte.

C’è da dire che l’attesa dei Belzer ne ha valso davvero la pena, una band concettuale, dalle sonorità ricercate, capitanate da Giulio autore dei brani e non solo chitarrista, ma al contempo tastierista.

L’arrivo dei Katiusha è stato formidabile. A partire dalle sonorità davvero ecclettiche e miste d’ogni sorta di genere musicale, dagli anni 70 ai giorni nostri fuso insieme, al carisma, intreccio di tonalità vocali e capacità espressive del frontman Gyada, che ha saputo interpretare i brani, dai testi ricchi di espressioni ed emozioni che viviamo tutti quotidianamente, rendendo quel palco una piattaforma dove la sua luce prevaleva su tutto quello che girava intorno. Bravi i componenti nel ricercare quei suoni così elettrizzanti, brava Gyada e le sue capacità espressive.

Gli UT, band complessa, con questo nome così medievale, ha saputo giocare davvero bene le sue carte. Suoni ricercati, misti tra l’elettronico, l’antico ed il futuristico, un genere che non saprei definire ma che sicuramente è capace di produrre solo chi ne proviene da lunghi percorsi di professionalità musicale, perché anche se a loro piace definirsi “ignoranti” e “incapaci” quello che hanno saputo dimostrare sul palco è stato ben altro e sicuramente non cosa da tutti.

Il tutto al contempo era seguito dalla diretta radiofonica di Radio Vertigo One, con Jacopo Saliani al microfono che da solo è riuscito a gestire la diretta audio e video, comunicando con il pubblico dell’emittente e raccontando passo per passo tutto quello che succedeva al Festival. Chissà cosa avrà detto di me??

Quando salgono sul palco uomini barbuti e tatuati il sospetto che si vada sul pesante è alla base delle certezze. E così fu, i Black Elephant non scherzavano affatto, hanno pestato Heavy Rock come dei ferrai senza mai mollare la presa, oltrepassando i 40 minuti di esibizione con svariate richieste di bis sono quasi riusciti a sfondare gli amplificatori del service. Una band senza tregua, poca comunicazione con il pubblico, ma tanta roba pesante negli strumenti, al punto che sono riusciti a far saltare l’impianto elettrico dell’area di Villa Bombrini e l’effetto è stato davvero magico, perché quello del palco e gli strumenti è rimasto attivo ma tutta l’area circoscritta era buia totale, illuminata soltanto dalla luna piena che questa prima notte di Festival è stata con noi.

Un piccolo scambio di battute tra me e il frontman e gli headliner Temple of Deimos hanno imposto subito le loro regole. Di ritorno da un tour, decisi a dominare il palco hanno afferrato il pubblico a colpi di stoner al punto che il batterista pestava talmente forte sulla batteria che le assi del palco hanno cominciato a tremare rendendola instabile . Un attimo di disapprovazione, una mincaccia da parte della band al pubblico: “Così non andremo avanti, non è possibile suonare, o sale qualcuno dal pubblico a tenerci ferma la batteria o ce ne andiamo a casa”. A queste parole Fabio Cuomo, il leader degli Eremite presente nel pubblico ha accusato le parole del collega ed è pronatamente salito sul palco, sdraiandosi sotto la batteria e reggendola per tutti i 30 minuti di esibizione. Una scena incredibile, un applauso al grande Cuomo!

Una serata davvero magica, andata davvero oltre le previsioni, un pubblico eccellente, uno staff impagabile che ha saputo rendere di questa prima serata la più grande apertura a cui abbia mai assisitito e che ha saputo dimostrare di essere cresciuta nel tempo. Il pubblico ha saputo apprezzare, la quasi totalità delle utenze è rimasta ancora a concerto finito, ne voleva ancora e si è fatta spingere via dal guardiano.

Ho scritto tanto lo so, ma sono senza parole. Ringrazio tutti per averci dato la forza e la soddisfazione di dire: Woow, oggi di nuovo!

E io vi aspetto.

festival periferie 2016: Black Elephant