SPK – Ex Convento di San Francesco, Pordenone – 12/07/25 – recensione

di Redazione, pubblicato il 28 Luglio 2025

Anatomia del rumore, tra generazioni e macerie – recensione e photo di Edo Genova Noise Gang

SPK a Pordenone. Già questo, di per sé, basta a incendiare le sinapsi. Ma quello che è andato in scena dentro le navate slabbrate dell’ex Convento di San Francesco è stato qualcosa di più: un rituale industriale intergenerazionale, dove il dolore si è fatto suono e il suono si è fatto critica, materia, impatto.

Sul palco dopo 40 anni di assenza dalle scene si presenta una formazione speciale e per certi versi commovente: Graeme Revell, mente storica del progetto, a gestire l’universo digitale, gli incastri algoritmici, la chirurgia dei sample. Al suo fianco il figlio, chitarra profondamente effettuata, riverberi acidi e un bidone metallico usato come percussione, a volte passato di mano tra i due come un testimone sacro. Un gesto performativo dal sapore tribale-industriale, che ha dato corpo e sangue al suono.

Il set ha attraversato l’intera traiettoria del progetto SPK: dai suoni malati e primordiali degli albori, fino alle trame più elaborate e immersive della produzione recente. Un viaggio brutale, dissonante, ma incredibilmente coerente. Senza tempo, proprio come certi traumi che non guariscono mai.

Le visual, realizzate con intelligenza artificiale, sono state un altro punto d’impatto — e non senza controversie: lontane dall’estetica trita e sdoganata di molti artisti della scena, qui hanno colpito duro. Immagini in mutazione continua che hanno toccato temi come il conflitto in Palestina, l’ascesa delle destre in Europa e nel mondo, l’obesità come sintomo collettivo, il dramma dell’immigrazione e l’ossessione per l’immagine e la schiavitù verso standard estetici inarrivabili – modelle perfette, corpi sintetici, migrazione e disumanizzazione, desideri alieni. E molto, moltissimo altro. Un flusso visivo instabile, politico, necessario.

Il pubblico? Tantissimo. Come sempre quando si muove Old Europa Café, gente accorsa da tutte le parti d’Italia – facce note, fedelissimi della scena, giovani mutanti, curiosi spiazzati e qualche reduce della prima ondata industriale. Un’energia densa, sporca, vera. Non c’erano spettatori, ma partecipanti.

E la cornice dell’ex Convento di San Francesco, con le sue pietre nude e i suoi vuoti carichi di storia, è stata lo spazio ideale per un evento del genere. Ogni colpo, ogni loop, ogni urlo filtrato rimbalzava tra le mura con il peso di una preghiera laica fatta di ruggine e disillusione.

A firmare il tutto, l’impeccabile organizzazione di Rodolfo Protti, storica mente dietro Old Europa Café, che ancora una volta ha dimostrato cosa significa fare cultura alternativa con serietà e visione. Nulla lasciato al caso, tutto calibrato — eppure libero, urgente, vivo.

SPK a Pordenone non è stato solo un concerto.

È stata una radiografia collettiva.

Un elettroshock affettivo.