Swans, Jessica Moss, 04/11/2025, Auditorium di Milano, Milano – recensione

di Redazione, pubblicato il 10 Novembre 2025

Recensione e photos di Fabio Noisext

L’onere e l’onore di aprire la serata degli Swans nel prestigioso ed affascinante Auditorium di Milano è affidato alla musicista canadese Jessica Moss. Parliamo della violinista di Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra e Black Ox Orkestar, presente sulla scena con molte collaborazioni del calibro di Vic Chesnutt, Carla Bozulich, Big|Brave, Godspeed You! Black Emperor, Zu, Arcade Fire, Broken Social Scene, Grant Hart e Sarah Davachi. Un set di 30 minuti delicato e suadente, con droni e campanelli ad accompagnare il vibrante suono del violino. L’esibizione è un po’ penalizzata dal punto di vista visivo dall’enorme palco già apparecchiato per l’amplificazione degli headliner.
 
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La formazione degli Swans per questo tour prevede, oltre a Michael Gira, Kristof Hahn alla lap steel, il prodigioso batterista Phil Puleo (Cop Shoot Cop, Human Impact), Norman Westberg alla chitarra, Chris Pravdica al basso, Dana Schechter (polistrumentista degli Insect Ark) e Larry Mullins. La setlist presenta, come da tradizione, una consistente parte di brani non ancora editi. Al concerto degli Swans si assiste ad un’opera nuova ogni stagione, non ci sono cavalli di battaglia.
 
Si inizia con una atmosferica ed ipnotica suggestione sonora, come se fossimo su una barca alla deriva, in un mare piatto sotto un sole urticante, cullati verso l’ignoto dalla voce taumaturgica del direttore d’orchestra. Dove ci vuole trasportare, mister Gira, Caronte disincantato, sacerdote di un suono epico ed al tempo stesso drammaticamente senza speranza? La musica degli Swans sembra la colonna sonora dei giorni che precedono l’Apocalisse che, come diceva beffardamente Tod A, verrà “cancellata, perché non si sono venduti abbastanza biglietti”.
 
Michael Gira è un uomo tormentato, che convive con tanti demoni, ma che trasmette una devozione sacrificale per il suono imperioso e totale della sua creatura. Il suo bambino libero si appaga in questa monumentale costruzione di ripetizioni sovrapposte.
 
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Basterebbe il primo, incredibile ed assordante brano di più di 20 minuti per ripagare il biglietto. Siamo tutti imbarcati con la band per esplorare nuovi mondi. Ogni tanto avvistiamo un’isola deserta dove riposarci, facendoci raccontare qualche storiella di fantasmi e maledizioni. Gli spiriti dell’isola ci suggeriscono di riprendere il viaggio, prima che si risvegli un vulcano e che piova fuoco dal cielo o che il sole trasformi l’arsura in febbre.
 
La raggelante staticità dei musicisti, con il solo Pravdica ad accompagnare fisicamente le pulsazioni del basso, accentuano il senso di impotenza di fronte all’immensità cosmica. Sembra un esercizio di distacco Zen, in cui Hahan, messo di profilo ma in posizione più avanzata di tutti, deve avere raggiunto l’apice del percorso. 
 
Poi, all’improvviso, cambia tutto. Gira chiede al pubblico di alzarsi ed andare sotto il palco. Ora la formazione prevede doppio basso e doppia batteria per una inimmaginabile danza tribale in cui lo sciamano gode con il suo pubblico, dimenandosi in un rituale orgiastico, gestualità da direttore ubriaco e canto da predicatore dilaniato, drammatici spirituals dimenticati e rallentati nella confusione di una mente corrotta.
 
C’è spazio anche per un infinito funk metallico per anime in Purgatorio.
L’approdo finale ci riporta al punto di partenza dopo aver lambito buchi neri ed abissi inospitali. 
Un concerto wagneriano e nichilista, demolente ed edificante, un gesto d’amore per la musica e per l’arte da parte di uno dei più grandi artisti del nostro tempo.
 
Grazie Michael, grazie Swans.
 
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