Recensione pietra miliare: Le Orme – Felona e Sorona – 1973

di Riccardo Storti, pubblicato il 30 Gennaio 2023

Il 2023 è anno di importantissimi cinquantenari. Mi riferisco – come è ovvio – al progressive rock italiano: se da un lato il 1972 rivelò una prolifica scintilla da cui nacque la corrente, dall’altro nel 1973 il livello qualitativo si è innalzato, sia per le prosecuzioni discografiche dei gruppi storici (la quaterna Banco, Orme, Osanna, PFM e, in limine, la prima diaspora dei New Trolls), sia per alcuni formidabili esordi (gli Area in cima al podio con Arbeit Macht Frei), sia per una serie di one-shot restati nella memoria degli appassionati (lo Zarathustra del Museo Rosenbach, Melos del Cervello, il Concerto delle menti di Pholas Dactylus e l’omonimo degli Alphataurus); al centone possiamo aggiungere la sperimentazione tra suoni e parole di Franco Battiato, Claudio Rocchi e Alan Sorrenti. Questo, tanto per dare una visione generale, che potrebbe avere un bello strascico se il sottoscritto avesse voglia e pazienza di raccontare quegli LP qui sulle colonne del blog. Voglia e pazienza ci sarebbero (e ci sono sempre state), manca il tempo, però proviamoci.

le orme

le orme

Così vado a sensazione e oggi mi va di toccare Felona e Sorona delle Orme. È il primo vero e proprio concept album del prog italiano, se, per concept album, intendiamo un prodotto artistico musicale e discografico che, dall’inizio alla fine, racconta una storia completa; insomma un’opera autonoma dalla struttura compositiva organica come Thick as a Brick dei Jethro Tull.

Certo, in Italia, non sono mancati esempi, se pensiamo che la prima pietra la mise – e in fase proto-progressive e in ambito cantautorale – Fabrizio De André con Tutti morimmo a stento nel 1968, con la supervisione di Gian Piero Reverberi; poi, se ritorniamo all’amato 1972, il Banco del Mutuo Soccorso scrisse Darwin! cimentandosi con il tema della creazione: un capolavoro assoluto e inarrivabile ma che, a differenza di Felona e Sorona, non si serve di un plot narrativo originale (anche perché le intenzioni comunicative del Banco partivano e arrivavano in un settore più vicino alla filosofia rispetto a quello della pura narrativa). Così si può dire – a livello di ascendenze e riferimenti letterari – per La Bibbia del Rovescio della Medaglia e Caronte di The Trip, usciti già nel 1971.

le orme live

le orme live

Felona e Sorona si presenta, invece, come un qualcosa a sé, una sorta di organismo vivente musicale che contiene una vicenda dai contorni finemente simbolici: due pianeti – Felona e Sorona – inizialmente in armonia che arrivano a separarsi per sempre. Cosa rappresentano questi due corpi celesti? Forse l’uomo e la donna, come suggerirebbe la copertina, tratta da un dipinto del pittore Lanfranco Frigeri? Oppure due stati d’animo (e caratteriali) contrastanti ovvero la felicità e la tristezza? E se fossero la vita e la morte?  O sono il Bene e il Male? Tutto è possibile, sussistono più letture, al di là della semplificazioni di massima che, talvolta, in sede critica, definiscono l’LP un “concept album con un tema di fantascienza.” Come per i grandi classici, Felona e Sorona è un album che contiene un mondo e che si autorappresenta ogni volta che la puntina del nostro giradischi si adagia sul vinile in movimento.

A distanza di mezzo secolo mantiene inalterata tutta la magia di una favola allegorica tenuta insieme dalla voce unica ed evocativa di Aldo Tagliapietra, dalle parti tastieristiche di Tony Pagliuca (il cui gusto stilistico per la semplicità estetica prevale su qualsiasi elemento virtuosistico) e dal drumming di Michi Dei Rossi (determinante nella resa e nel dosaggio delle intenzioni dinamiche di ogni composizione). Non dimentichiamo il “quarto uomo” ovvero Gian Piero Reverberi, il George Martin delle Orme, uno che di concept – come ho scritto – se ne intende.

E poi c’è la melodia, sempre ariosa, ben connessa, sul piano espositivo e interpretativo, con la tradizione della canzone italiana, tra musica leggera e folk (Felona e All’infuori del tempo ne sono un chiaro esempio).

Nella carriera delle Orme Felona e Sorona rappresenta il salto di qualità: nel 1971 Collage fu la proposta autentica e genuina da parte di un trio alla E.L. & P . in grado di misurarsi in chiave rock con la musica classica; Uomo di pezza, nel 1972, era ben più di una compilation di canzoni, visto che queste ultime erano legate tra loro da un filo conduttore comune, in un’ottica già concept. In maniera assai naturale Felona e Sorona  diventa il raggiungimento della vetta, trasformandosi in breve tempo in una stazione obbligata per chi voglia conoscere la storia del progressive rock italiano; non solo, nel 1974, l’ottimo Contrappunti sarà l’ideale appendice integrativa di un percorso che concluderà il fruttuoso sodalizio con Reverberi.

LATO A

Sospesi nell’incredibile – Questa è un’ouverture in piena regola e in chiave rock:  sembra quasi un sipario che si apre di getto con travolgente drammaticità in un crescente ascensionale di note e di dosati passaggi dal “piano” al “forte” con tanto di fugato (0′ 45″) e variazioni, fino all’ariosa esplosione del “tutti” (1’21”), sfumato per lasciare spazio al canto (2’25”). L’ouverture si trasforma in una canzone dal preciso impatto melodico: solare, ma anche lunare quando la linea canora (4’03”) si fa più umbratile e scura; da 4’28” il tema viene ripetuto dal basso mentre un sintetizzatore (o un organo?) – su un registro alto – simula quasi un intervento solistico di ottavino. Questa bolla ossessiva viene scoppiata da un’accelerazione di tempo (da 5’27”) in cui a farla da padrone sono sempre il basso di Tagliapietra e l’Hammond di Pagliuca: il culmine, un altro solo di Moog (6’20”) dalla fisionomia dissonante con tanto di fuochi d’artificio batteristico posti a chiudere il brano.

Felona – Le campane annunciano il ritorno alla forma canzone: i tratti sono folkeggianti, in un tempo quasi di danza popolare, all’interno di uno spettro acustico di chitarre, percussioni e flauto dolce (1’50”); la presenza di un güiro (da 1’10”) conferisce al brano un’atmosfera quasi latina, mentre l’intervento del Moog (0’58”), unico additivo elettronico, ricorda invece una fanfara.

La solitudine di chi protegge il mondo – Trilli di pianoforte, risonanze, echi vocali: emerge un’atmosfera quasi onirica, sospesa nel tempo e densa di tensioni armoniche; poi rimangono in due: la voce di Tagliapietra e il pianoforte (0’39”). Momenti di poesia sonora con reminescenze agli Aphrodite’s Child, agli EL & P più lirici e al Battiato più intimo. Da 1’30” la cellula motivica che anticipa la traccia successiva, ovvero…

L’equilibrio – … che non c’è, verrebbe da aggiungere. Sì, perché musicalmente, lo stacco perentorio, anche dinamico dettato da un accento “fortissimo” (ripetuto più volte), è l’incipit di un momento teso che cerca di trovare un precario bilanciamento tra gli arpeggi veloci dell’organo, la nota fissa ostinata di basso e il canto quasi monodico di Tagliapietra. Qua e là, il blocco viene frammentato da diversi tentativi di affrancamento dalla stasi: breve frasi di Moog abbastanza simili tra loro (0’30”) e una variazione del tema già ascoltato alla fine di La solitudine che protegge il mondo (1’20”) che darà il via ad una felice corsa poliritmica e sincopata tra piano, organo e sintetizzatore (da 2’02”) con un’alternanza dei metri di 5/8 e 4/4. Giunti al culmine, la coda sinfonica genesisiana (2’59”) si mostra come un momento liberatorio.

LATO B

Sorona – Ritorna la cupezza e non può essere altrimenti: Sorona deriva da “sorrow”, che significa “tristezza”; l’altra polarità dell’essere in questa immensa allegorica favola rock. Non è solo l’indicazione di una tonalità in minore, ma anche certe flessioni verso un accordo diminuito di Mi che, ogni tanto, fa breccia tra il gioco del Re minore e il Sol minore.

Attesa inerte – L’inquietudine del brano precedente sembra concretizzarsi in momenti in cui il buio prevale sulla luce in una prospettiva sonora assai prossima a quella dei Van Der Graaf Generator o a qualcosa di tedesco e cosmico: l’Eminent si fa orchestra, il Moog cerca la frequenza giusta con ossessiva ripetitività, l’Hammond apre brevi scorci d’illusorio chiarore timbrico , ma sono le dissonanze e alcune sovrapposizioni tonali a dominare l’impianto della composizione e un basso che glissa quasi a volere barrire.

Ritratto di un mattino – L’esordio psichedelico dell’organo riverberato ci ha riportato per un attimo ai tempi – nemmeno troppo lontani – di Figure di cartone: una lunga sospensione (0’50”) in cui si innestano le voci sovraincise di Tagliapietra che cantano versi epigrafici (“La felicità non puoi trovarla in te / ma nell’amore che agli un giorno darai”). Il lancio di batteria (1’44”) è il conto alla rovescia verso uno dei vertici strumentali del disco: una frase melodica di chitarra elettrica che potremmo dire figlia delle dita di Hackett. Troppo facile (e scontato) scomodare i Genesis: questo invece è un adagio barocco, figlio della laguna e di quella mirabile stagione da cui tutto iniziò – per la musica strumentale europea – agli inizi del Settecento tra San Marco, Rialto e i campielli: è l’eredità di Albinoni, Marcello e Vivaldi. Ad ingentilire il suggestivo episodio, un’aggraziata coda pianistica.

All’infuori del tempo – Un altro momento che riporta le Orme alla forma canzone sulla scia della precedente Felona. E, tra una strofa e l’altra, il Moog si inventa una piacevole breve trama melodica (1’46” e 3’12”) di sapore quasi ottimistico; ma è un’illusione che Felona e Sorona abbiano raggiunto l’armonia: da 3’31” c’è una ripresa di una piccola cellula tematica già riscontrata in Attesa inerte che ci prepara al barbarico finale.

Ritorno al nulla – Una plumbea fanfara: più che un Requiem, un Dies Irae presto mutilato dagli ipercinetici trilli di organo (0’35”), starter di una selvaggia cavalcata dominata da sfrenati squilli di Moog in corsa al galoppo sull’onda di tom tom impazziti e di un basso granitico. La chiusura, però, è perentoria, quasi da sinfonia ottocentesca, su un affermativo Re maggiore orchestrale che non ammette repliche. Un nuovo Big Bang.

(Riccardo Storti, articolo originale sul blog dell’autore)