Pivio – Ugly covers – 2023 – recensione e full streaming

di Riccardo Storti, pubblicato il 20 Novembre 2023

E Pivio ci prova. L’inesauribile attività del compositore genovese non trova requie: ogni momento è sempre quello buono per dare forma ad idee che non possono rimanere tali, bensì trasformarsi in suoni e parole. Fosse anche la playlist formativa che ha tessuto la colonna sonora più importante, quella della propria vita.

Se la vita è tutta un film, il soundtracker Pivio lo sa bene che il commento sonoro è imprescindibile per circoscrivere il dato comunicativo delle emozioni, riflessioni e azioni.

Piccolo passo indietro, ma proprio minimo: a pochi mesi dall’uscita del penultimo album Pycnoleptic, Pivio ne approfitta della fine di una sonnacchiosa e calma estate per tirare giù un breve elenco di canzoni da portare sull’isola deserta. Non ci è voluto molto, nemmeno a registrarle: in una prospettiva integralmente autarchica, Pivio si mette sotto e nell’arco di 12 giorni confeziona queste Ugly Covers (pubblicate dalla label I Dischi dell’Espleta, ndr), in cui lui programma, arrangia, canta, suona ogni strumento e disegna pure la copertina. Che lui definisce “bruttissima”, in sintonia all’ugly del titolo.

Il range della selezione copre 35 anni (dal 1972 al 2007): Pivio precisa che quei pezzi non hanno segnato solo lui, ma addirittura la sua generazione in toto, pertanto il meccanismo di identificazione vorrebbe andare ben oltre alla scelta personale: si passa da Patti Smith ai Nine Inche Nails per toccare Brian Eno, la coppia Sylvian Sakamoto, Marc Bolan & the T. Rex, Killing Joke e Mercury Rev. Una trama “indie” ben precisa, prodotto di un’esperienza – comunque – privata: inutile aggiungere che Pivio non si limita a reinterpretare i brani, ma li rivive proprio letteralmente, nel senso che ci offre una lettura “sua” (e di nessun altro). La cifra originale sta in quello smalto timbrico che gli è proprio, generato da una maestria artigianale in cui il mondo sonoro acustico si fonde e si amalgama con quello elettronico, in un gioco caleidoscopico di campionature trattate con una sensibilità laboratoriale e sperimentale (e qui esce l’ingegner Pischiutta).

pivio

pivio

In controluce ecco che Children of the Revolution di Marc Bolan si fa più speziata grazie agli ingredienti orientali di un tabla e un sitar; Dancing Barefoot è più lenta rispetto alla versione originale di Patti Smith, meno rock e più elettronica, come se fosse stata vivisezionata da un bisturi dei Kraftwerk, dopo un’anestesia praticata dai New Order. Addirittura per Democracy dei Killing Joke siamo di fronte ad una raffinata distillazione timbrica: il brano è depurato dalle chitarre post-punk e scosso da rifiniti loop, mentre l’interpretazione canora ricorda quella del Peter Hammill più estremo.

Here Comes the Warm Jets di Brian Eno diventa una fanfara tascabile per kazoo con una bella spinta innodica sul finale, mentre The Good Soldier dei Nine Inch Nails acquista un maggiore passo marziale con una bella orchestra ritmo-sinfonica di sequencer risonanti (il sound pare quello degli U2 dei tempi di Zoo Station con quella voce di Bono un po’ sgranata e distorta), inoltre la frase di chitarra della coda è qui suonata da un Moog che rimanda al prog.

Nel caso di Tides of the Moon dei Mercury Rev siamo al cospetto di un arricchimento: cosa fa Pivio? La rende più densa con alcuni arrangiamenti assai brillanti: il pattern ritmico sembra quello di Making Plans for Nigel degli XTC, il tema di chitarra ha un allure dark-pop degno dei Cure di The Head on the Door, mentre ogni tanto un’altra chitarra fa capolino con noterelle lunghe e una serie di arpeggi (4’07”) il tutto in una dimensione frippiana.

La conclusione con World Citizen di Sylvian – Sakamoto è un commosso omaggio a due determinanti figure per chi ha cominciato a fare musica tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta: la versione di Pivio mantiene il clima quasi notturno, ma di una sera dal cielo caldo e arrossato, un congedo gentile e appassionato in cui l’additivo elettronico è tutt’altro che sintomo di freddezza.

Altro che “ugly covers”…

Riccardo Storti (articolo originale sul blog Asterischi di Musiche)