Giuseppe Scaravilli – Premiata Forneria Marconi. Il lungo viaggio – recensione

di Riccardo Storti, pubblicato il 8 Marzo 2024

Non un elenco di nozioni, dunque, ma di emozioni”. Così, già in prefazione, Giuseppe Scaravilli, autore del volume Premiata Forneria Marconi. Il lungo viaggio (Arcana, 2023), chiarisce subito la sua posizione. Non si tratta di un’autodifesa ad oltranza, ma, anzi, di una dichiarazione d’amore verso la band e, come tutti gli amori, anche una passione per la ricerca della verità intorno alla sua storia. Percorso per niente facile, in quanto bisogna essere armati di pazienti competenze a 360°, quando si racconta l’epopea di uno degli ensemble più rilevanti della popular music europea.

Ci aveva già tentato brillantemente Donato Zoppo quasi 20 anni fa e in 5 lustri di cose (intorno alla PFM) ne sono accadute. Scaravilli non ha solo provato ad aggiornare il quadro con mirabile capacità di sintesi, ma è voluto ripartire da zero e, disco dopo disco, arricchire la vicenda collettiva e, talvolta, individuale del complesso con una serie di integrazioni documentarie di varia natura. Scaravilli ha raccolto testimonianze suppletive, interpolandole con fonti assodate ed esperite in altri luoghi (vedi le autobiografie di Di Cioccio e Pagani), senza trascurare eventuali dichiarazioni in esclusiva di ex componenti (Piazza e Lanzetti). L’autore è stato attento a controbilanciare sempre i fatti, distillando le opinioni, senza distrarsi dall’obiettivo prioritario ovvero quello di offrire un quadro il più oggettivo possibile. È una questione di onestà intellettuale e serietà, nonché di rispetto nei confronti di chi è stato artefice della storia di PFM.

pfm 1971

pfm in 1971

E se tiro in ballo l’oggettività nella scrittura, mi viene in mente un conterraneo del nostro Scaravilli, Giovanni Verga. Ebbene, Scaravilli è a suo modo “verista” perché quando racconta, infarcisce il suo dettato di dense descrizioni, quasi come se avesse una lente d’ingrandimento collegata alla penna. Si è preso la briga di guardare tutti i contributi visivi presenti su vari supporti (dalle VHS ai DVD) e in rete e ce li racconta con dovizia di particolari, dai modelli degli strumenti alla postura del musicista, dal capo d’abbigliamento e ai movimenti sul palco. E coglie tic, dettagli, nonché segnali di profonda umanità artistica. Quanto al dato musicale, Scaravilli scandaglia maggiormente l’ultima produzione: intervento prezioso perché, per la prima volta, mi è capitato di leggere praticamente uno screening quasi anatomico dei dischi da Ulisse a Ho sognato pecore elettriche. La prosa è vivace, scorrevole, diretta e chiara; non male, in una futura edizione, box dedicati all’analisi musicale di ogni disco: dal musicista Giuseppe Scaravilli me lo sarei aspettato, perché ha tutte le carte in regola per farlo, tenendo conto dei suoi trascorsi. Poi, si sa, questo è un mio vecchio pallino: l’editoria italiana ha bisogno di una saggistica musicale che sia veramente musicale, che tocchi e racconti il linguaggio dei suoni. Quale migliore (ulteriore) occasione per entrare dentro a Meridiani o a Appena un po’ attraverso la penna di chi sa maneggiare plettri e corde con esperienza e passione come il fondatore dei Malibran? La mia non è una critica, anzi, è uno sprone, proprio perché le note non sono “nozioni” ma anche “emozioni”.

Riccardo Storti (articolo originale sul blog Asterischi di Musiche)