Recensione pietra miliare: Premiata Forneria Marconi – Storia di un minuto – 1972

di Riccardo Storti, pubblicato il 4 Gennaio 2022

Ti giri un attimo e lui ha già compiuto 50 anni. Proprio oggi. Eppure mi avevano avvertito che l’hit trainante – Impressioni di Settembre – aveva già festeggiato il compleanno lo scorso ottobre, ma niente: più lo ascolti e più ti accorgi che quelle composizioni non perdono smalto ma, soprattutto, ti rendi conto che nella loro compiutezza hanno segnato in Italia la partenza “storica” di un genere: il progressive rock.

Storia di un minuto rappresenta ciò, senza togliere nulla ai predecessori venuti alla luce nel 1971. Li vogliamo ricordare? Collage delle Orme, Concerto Grosso per i New Trolls, L’uomo degli Osanna, Caronte dei Trip, In the beginning della Nuova Idea, Dolce Acqua dei Delirium: pietre miliari ed episodi, a loro modo, irripetibili e originali.

Storia di un minuto, però, racconta qualcosa di nuovo per la discografia italiana, ha dietro un gruppo di musicisti all’esordio (apparentemente, visto che, come turnisti, solcavano già in studio dalla seconda metà degli anni Sessanta), una casa discografica innovativa e ambiziosa (la Numero Uno) e un paroliere (Mogol) che firmerà per loro un testo di una canzone che rimarrà nella memoria collettiva (Impressioni di settembre).

pfm 1971

pfm 1971

La critica vede in questa prima opera della PFM una saggia interpolazione tra la fonte derivativa britannica (King Crimson e Jethro Tull in primis) e la tradizione italiana; ma una tradizione non solo popular (la melodia cantabile) bensì anche classica, quella che va dal barocco al melodramma, da Vivaldi a Puccini, tanto per capirci. Sì, quei critici ci avevano preso, benché Storia di un minuto rappresenti solo il primo step di un inarrestabile e impellente percorso che, da lì a meno di 11 mesi, porterà la band a creare un frutto discografico ancora più rifinito come Per un amico.

L’album si apre come una giornata all’alba: l’Introduzione è in crescendo: un vocalizzo, una chitarra classica, il flauto, il basso, il mellotron, i cori e tutta la band con un motivo quasi jazz-rock che in poche battute si affievolisce.

Poi un Mi basso di chitarra e “Quante gocce di rugiada intorno a me”: Impressioni di settembre che si staglia fissa in alto con il memorabile tema di Moog. È un’altra musica, ragazzi: gli strumenti di un passato classico si uniscono a quelli elettrici ed elettronici (il mellotron e il Moog) della modernità. La rock band è praticamente un’orchestra tascabile capace di trasmettere un sound pieno, denso e ricco di sfaccettature timbriche mai ascoltate prima di questo disco (almeno in Italia).

Così È festa si affida al ritmo della tarantella e ad una frase velocissima, aerea e danzante, affidata sempre al moog ma con unisoni e contrappunti di violino e chitarra, mentre “sotto” basso e batteria picchiano duri come dei Led Zeppelin nati e cresciuti alle falde del Vesuvio.

Geniale l’idea di suddividere in due parti Dove… Quando…, quasi a sottolineare la doppia anima progressive del gruppo. La prima sezione è una canzone d’amore dai tratti musicali non dissimili a quelli di un madrigale rinascimentale; la seconda sembra un riassunto sonoro della storia della musica: inizia come una toccata barocca per organo ecclesiastico e violino, si evolve in una pagina pianistica novecentesca, ha un breve e inaspettato episodio sonatistico dal sapore postromantico per poi sbocciare in un momento jazz in tempo ternario. Su questa caracollante tradotta ritmica precipitiamo in una scala ascendente di chitarra e organo che sbuca nella crimsoniana La carrozza di Hans, brano in cui non mancano i colpi di scena e i cambi di atmosfera tra rarefazioni jazzistiche, virtuosismo chitarristico e sbalzi dinamici. Si chiude con Grazie davvero, una traccia scritta per gruppo rock e orchestra, visto che abbondano gli interventi fiatistici di un ridotto ensemble cameristico, pregevole valore aggiunto ad una partitura già di per sé assai ricercata e raffinata (con un brevissimo epilogo di trilli di chitarre che richiamano un po’ il clima dell’Introduzione, ma qui si ascolta già qualcosa di notturno, la giornata è finita).

Ecco, Storia di un minuto – in piena ottica concept – si presenta come il racconto di una giornata qualunque, ma che le parole e la musica hanno saputo trasfigurare in qualcosa di unico. Grazie alla forza dell’arte, anche il quotidiano si può caricare di magia: ce lo aveva già detto Joyce con l’Ulisse, ma molti di noi lo hanno capito prima con questo disco. (Riccardo Storti, articolo originale sul blog dell’autore)