Sull’isola deserta con Franco Battiato part 4: 2000 e oltre

di Riccardo Storti, pubblicato il 6 Luglio 2021

Diciamolo: l’ultimo Battiato è stato un po’ trascurato. Non ovviamente da chi lo ha sempre seguito, ma, in linea di massima, per l’opinione pubblica, Battiato resta sempre il cantautore un po’ strano de La voce del padrone (anzi, del successo di questo disco…) e de La cura (canzone bellissima, figuriamoci, ma, come è ovvio, non si può ridurre l’opera del catanese ad una sola testimonianza pur di enorme credito).

franco battiato

franco battiato

Così, alla fine, i dischi del nuovo Millennio sono passati un po’ in sordina, o meglio, sono stati “letti” senza l’adeguata attenzione che l’evoluzione del nostro richiedeva. Eppure lì si coglie la maturità e la sintesi: tante piccole gemme disseminate tra i CD in un mix di sperimentazione permanente di codici linguistici e musicali; per non parlare della profondità spirituale.

Sarcofagia – (Ferro battuto – 2001) – In questo album di raffinato (e studiato) pop contemporaneo, Sarcofagia riprende le mosse, soprattutto ritmiche, dei brani più ipercinetici de L’imboscata. Qui Battiato (sempre con Sgalambro) si ispira ad un testo di Plutarco per raccontare una scelta personale (il nostro era vegetariano) che, come si sa, è stata mediata dal suo avvicinamento alle filosofie orientali.

Come un sigillo – (Fleurs 3 – 2003) – Certo, le cover sono sempre una fonte di curiosità da assecondare e, anche in questo caso, non mancano spunti, però, alla fine, se devo portare qualcosa sull’isola deserta, mi attacco all’unico inedito con tanto di guest (Alice): una song in cui erotismo, nostalgia e sensualità della parola si fondono in un panneggio musicale tanto semplice, quanto raffinato. Il fiore più delicato.

Odore di polvere da sparo – (Dieci stratagemmi – 2003) – Mistilinguismo, sonorità al passo con i tempi, spiritutalità e politica. Questo è un Battiato che ha voglia di raccontare la sua epoca, ma anche se stesso, sempre attraverso una trama simbolica ricca di riferimenti maturati nel corso degli studi quotidiani. Odore di polvere da sparo ha come sfondo narrativo la battaglia di Baku, combattutasi tra Turchi e Russi durante la Prima Guerra Mondiale; ma, in realtà, il pretesto storico si arricchisce di immagini che mettono subito in luce la contraddizione di un Occidente (accidente!) diviso tra guerra e esteriorità religiosa (“le reliquie della santa”).

Aspettando l’estate – (Il vuoto – 2007) – La copertina ha un’aria di vetro: mi ha ricordato Forse un mattino andando di Montale; in particolari i versi che descrivono l’uscita dal vuoto (“Poi, come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto/ alberi, case, colli per l’inganno consueto). Il “vuoto” appunto. Il riferimento di Battiato corre però al buddismo, al concetto di “vuoto” inteso come “non-sé”; insomma, siamo “niente” e “niente è come sembra”. Aspettando l’estate aderisce ad un episodio cantautorale quasi “classico”: l’incipit di chitarra acustica ha qualcosa di Battisti, inoltre si cita De André (“Aspettando l’estate all’ombra dell’ultimo sole”). Cosa colpisce di più, però, è una sorta di serena malinconia per chi non c’è più: ciò fa scattare un’identificazione quasi automatica tra chi scrive e chi ascolta (“Anche se non ci sei tu sei sempre con me/ e sono ancora sicuro che io ti rivedrò/ dovunque tu sia”).

Tutto l’universo obbedisce all’amore – (Fleurs 2 – 2008) – Battiato che coverizza anche se stesso, facendo riemergere dagli archivi vecchi brani (oltre a canzoni degli Aphodite’s Child, Simon & Garfunkel, Endrigo, etc.). Estraggo il singolo con Carmen Consoli che, per tematica, può essere considerata degna appendice de Il vuoto.

Inneres auge – (Inneres Auge – Il tutto è più della somma delle sue parti – 2009) – Una via di mezzo tra un’antologia e un Fleurs, ma il singolo inedito vale il disco. Anche in questo caso, Battiato richiede pazienza: i ritmi sono quelli della musica techno, insomma, la provocazione metrica è servita; il testo, poi, amalgama a meraviglia l’indignazione civile con la riscoperta di un’appagante dimensione aliena (ma tutt’altro che alienante). È vero: viviamo in un’era di corruzione, dove abbondano i “parassiti senza dignità”, ma, per fortuna, non mancano rifugi sicuri e immuni da qualsiasi stimolo di decadenza:

Ma quando ritorno in me,

sulla mia via, a leggere e studiare,

ascoltando i grandi del passato…

mi basta una sonata di Corelli,

perché mi meravigli del creato!

Un irresistibile richiamo – (Apriti Sesamo – 2012) – Singolare che l’ultimo album di Battiato abbia l’imperativo “apriti” nel titolo. Più che singolare, potremmo dire indicativo, indipendentemente da qualsiasi decisione del fato. Il disco reca in sé parecchie perle, tra queste, Un irresistibile richiamo. Al di là delle citazioni di Santa Teresa d’Avila, tutto concorre a far sì che misticismo e sensualità si facciano la corte (“Il tuo corpo è colonna di fuoco affinché / arda, e faccia ardere.”), ma quel tocco di campane “lontano, irresistibile” attrae ognuno verso una serenità interiore, in direzione di quell’”oceano di silenzio”. Eh sì, ci piace percepire tanto “tutti i sensi in festa”, quanto la pace dei monasteri. Battiato (ci) fa bene.

(Riccardo Storti – fine) (articolo originale sul blog dell’autore)

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